In questo libro Sara Monetacaglio scrive le storie della gente chi dormono alla vecchia stazione ferroviaria di Milano.
I marciapiedi erano tutti imbrattati di neve. Erano le otto di sera e sembrava notte fonda.
Tutto addormentato. Tutto deserto e immobile. Un
silenzio che mi colse impreparata mi portò a cercare
negli angoli più nascosti dei miei pensieri. Poi, in
metropolitana, ancora vita, luce, movimento e io che
riemergevo, di scatto, ancora consapevole di dove
stavo andando, ma non di che cosa sarebbe accaduto
quella sera. Il camper, come ogni settimana, era
posizionato nell’angolo della vecchia stazione
ferroviaria, inchinata ai piedi del progresso, che aveva
voluto quella nuova piazza di grattacieli e luci,
proprio al piano di sopra. Era così d’impatto il
contrasto tra gli esseri così piccoli e senza niente da
possedere, lì, sotto la tettoia di un sogno infranto, e gli
attici sfarzosi che svettavano fino quasi a toccare il cielo, senza, però, far sentire il loro respiro.
Stranamente a me sembrava che fossimo noi laggiù,
sotto quella fredda pensilina, ad essere alti, a svettare
nell’aria, verso le cime del cielo. E, fino a prova
contraria, eravamo noi i fiati caldi, noi i respiri di vita.
Dai piani alti, non si vedeva e non si sapeva niente.
Un altro mondo dove, in quel momento, sicuramente
si sorseggiava vino pregiato intorno a una tavola
imbandita, senza rendersi conto di quanto potesse
essere una prerogativa. C’erano tè caldo e dolci per
tutti, un piano di sotto, dove stavamo noi, dove si
confinava ciò che è scomodo e che non si vuole ne’
ammettere, né vedere. C’erano anche coperte per chi
decideva di non seguirci al dormitorio, ma di
trascorrere l’ennesima notte per strada, su qualche
panchina, di schiena a chi passava senza voler
guardare davanti, ma dietro, dove fa meno male e
dove si può far finta di niente con la propria
coscienza. Eravamo così tanti, e in un certo senso,
sembrava una festa, un ritrovo di persone che hanno
voglia di vedersi, incontrarsi, scambiare qualche
parola, sorriso, magari anche qualche colorato insulto,
ma tutti erano uniti nello stesso spirito.Come se fosse la serata di un ritrovo tra vecchi amici.
La mia casa non ha pareti
è un treno in viaggio
che conosce poche stazioni
parte dal mare e segue il profilo delle montagne, dei
laghi
è una finestra spalancata a orizzonti che sembravano
irraggiungibili,
come rette parallele
invece, infrange dogane
si disfa degli ultimi serramenti
la mia casa la trovo là,
su quel treno,
quel vagone che culla illusioni,
che lascia spazio alla stanza senza strutture dove siedi
tu,
binario capace di fondersi in me,
consapevole dell'esistenza di valori infiniti
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